La Cooper-Climax T51 è una vettura da Formula 1 realizzata dalla Cooper Car Company nel 1959 e che nello stesso anno conquistò il campionato medesimo. Fin dalle origini del campionato di Formula 1, le grandi case costruttrici avevano puntato su autovetture dotate di propulsore anteriore. John Cooper decise di porre termine a questa tradizione realizzando una monoposto dotata di un motore posto nella parte posteriore della vettura per ottenere nuovi livelli di maneggevolezza e leggerezza strutturale.
Alcuni cenni storici : Charles Cooper ed il figlio John, nel ’47, fondarono la Cooper Car Company per costruire delle monoposto di Formula 3. Erano delle piccole vetture mosse da un motore motociclistico JAP di 500cc. e telaio tubolare. La sospensione anteriore non era altro che l’avantreno della Fiat “Topolino” mentre quella posteriore, a parte la molla a balestra uguale a quella anteriore, aveva componenti costruiti appositamente. Considerando l’origine del motore, la trasmissione finale era a catena e fu quindi giocoforza posizionare il motore alle spalle del pilota. La macchina risultò competitiva e fu la loro fortuna, maturarono così molta esperienza con il motore centrale. Nella crescita verso la F1 costruirono monoposto anche con il motore anteriore, come la Cooper Bristol di F2, ma ritornarono, forse più per intuito che per calcoli, al motore posteriore. Afflitta da varie carenze, corse una sola gara a Reims nel ’56 senza ottenere risultati di rilievo. I Cooper nel ’58, vinsero il loro primo G.P. di F1 con la T43 e poi nel ’59, con la T51 e l’adozione del potente Climax 2.5 L., arrivarono i successi a ripetizione permettendo a Jack Brabham di vincere il titolo Mondiale Piloti F1 e di ripetersi anche l’anno successivo con la T53. La Cooper rimarrà in F1 fino al 1969 vincendo in totale 17 G.P..
L’aerodinamica della T51 è l’evoluzione delle T43 e T45 che l’hanno preceduta: la forma è “a sigaro” ma i fianchi sono sensibilmente bombati per ospitare i voluminosi serbatoi. Il flusso d’aria di raffreddamento per i radiatori dell’acqua e dell’olio entra da una presa ovale anteriore e fuoriesce, sdoppiandosi, lateralmente in due incavi ricavati in prossimità degli attacchi delle sospensioni anteriori.
La parte posteriore è interessante perché si tratta di un cupolone affusolato che carena il roll-bar con la parte finale che tende ad assumere la forma di una pinna verticale. Anche il fondo va dal muso alla coda e carena anche il motore. Lascia qualche perplessità il rigonfiamento per le trombette dei carburatori senza una presa d’aria. La carrozzeria è in alluminio sagomata a mano con la tecnica dello stiramento per battitura. Passando ad illustrare il telaio, abbiamo un traliccio in tubi di sezione circolare con le giunzioni saldate. Mancano diverse controventature per fare posto ai serbatoi. Per recuperare parte della rigidità torsionale persa, il progettista Owen Richard Maddock ha adottato tubi di diametro maggiore, 1.5″ contro gli usuali da 1″, ma anche spessori maggiori del solito. Curiosa la scelta, anche questa per migliorare la rigidità, di incurvare la parte terminale dei lunghi tubi longitudinali e saldare tra loro le estremità. Forme che non seguono l’ortodossia dei reticoli classici che prevede aste rettilinee e triangolazioni.
La sospensione anteriore è tradizionale: quadrilatero articolato formato da due triangoli sovrapposti con molla elicoidale e l’ammortizzatore coassiale posizionati sulla diagonale. La barra antirollio non è il solito pezzo d’acciaio curvato ad “U” ma è una barra di sezione quadrata con le leve alle estremità smontabili. Direi uno dei primi esempi di barra antirollio scomponibile. Il portamozzo è derivato dalla produzione di serie, all’epoca una scelta usuale per molti costruttori.
Nella sospensione posteriore troviamo anche qui un quadrilatero articolato formato però da due trapezi sovrapposti senza i lunghi puntoni-tiranti di reazione. L’elemento elastico è una molla trasversale semiellittica a balestra. I perni di ancoraggio hanno diverse posizioni (tre) per stabilire la rigidità dell’assetto. La bielletta trasversale che ancora la balestra serve solo a tenerla in posizione ma non reagisce ai carichi trasversali delle ruote, per questo ci sono i trapezi superiori della sospensione. Sulle precedenti Cooper la balestra fungeva anche da braccio superiore, ma questa soluzione vincolava troppo la geometria della sospensione non consentendo i necessari recuperi di Camber in compressione. Il portamozzo è di produzione Cooper fuso in lega leggera.
All’interno dell’abitacolo si nota la scatola dello sterzo montata in basso che dà un’ inclinazione al piantone dello sterzo quasi da Kart. Sullo sfondo si vede il serbatoio dell’olio, mentre ai lati quelli della benzina che aggettano fin dentro l’abitacolo e quindi si nota, come si diceva, l’assenza delle controventature sul telaio. Qui con la pedaliera siamo ancora a circa 150 mm prima dell’asse anteriore, negli anni successivi si andrà anche oltre l’asse.
Altra caratteristica che salta all’occhio degli esperti è che il motore è montato inclinato di 18° sulla destra e questo non tanto per abbassarne il baricentro (circa 1,5 cm) quanto per lasciare spazio ai carburatori che, ciononostante, sporgono ugualmente dal profilo della carrozzeria. In Cooper hanno preferito carenarli senza una vera presa d’aria dinamica, nonostante che portare una maggiore pressione (dinamica) nel vano carburatori avrebbe dato qualche cavallo alle alte velocità.
Altra difficoltà che si presentò ai Cooper fu il trovare un cambio da adeguare alla vettura in quanto all’epoca non c’erano ancora sul mercato i cambi commerciali per vetture da corsa a motore.
La superarono partendo dalla scatola del cambio della Citroën 2CV di serie: oltre naturalmente alla “campana” costruita per accoppiarlo al monoblocco, rifecero sia il coperchio superiore che gli ingranaggi interni. Il coperchio è stato necessario per rinforzare la scatola e per alloggiare il sistema di selezione con l’apposito leveraggio di comando, mentre per gli ingranaggi era necessario aumentarne lo spessore per resistere alla maggiore coppia motrice e questo andò a discapito della retromarcia che infatti non c’è. In verità un cambio pensato per le vetture a motore centrale c’era e lo costruiva in Italia Valerio Colotti, lo utilizzò la squadra satellite di Rob Walker ma risultò carente di messa a punto. Segnalo una soluzione ingegnosa, la T51 aveva nell’abitacolo una sorta di leva per frenare a mano, tirandola serviva a tenere ferma la vettura nelle partenze in discesa tipo Spa permettendo al piede destro di rimanere pronto sul pedale dell’acceleratore.
Scheda tecnica:
- Costruttore: Cooper; modello: type 51 F1; anno: 1959;
- capo progetto: Owen Richard Maddock;
- tipo telaio: traliccio in tubi di acciaio a giunzioni saldate con tratti curvilinei;
- sospensione ant.: quadrilatero deformabile con gruppi molla-ammortizzatori esterni sulla diagonale;
- sospensione post.: quadrilatero deformabile. con molla trasversale semiellittica e ammortizzatori sulla diagonale;
- portamozzi:: Alford&Alder forgiati in acciaio, post. fusione in lega leggera:
- passo: 2311mm;
- carreggiata anteriore: 1181 mm;
- carreggiata posteriore: 1219 mm;
- carrozzeria: amovibile in alluminio formata a mano (lamiera battuta);
- massa totale: 472kg;
- pneumatici: Dunlop Racing anteriori: 5.50L -15, posteriori: 6.50L -15 ;
- Motore: Coventry Climax; tipo: FPF; anno: 1959;
- capo progetto: Walter Hassan;
- cilindrata: 2495 cc;
- numero cilindi: 4 in linea;
- alesaggio x corsa: 94mm x 89,9 mm ;
- distribuzione: 2 valvole per cilindro con doppio albero a camme in testa;
- accensione: elettromeccanica, una candela per cilindro;
- rapporto di compressione: 11,9:1;
- alimentazione: 2 carburatori Weber 58DCO3;
- potenza: 243 cv a 6900 r.p.m;
- coppia massima: 29,3 kgm 5300 r.p.m.;
- massa motore: 132 kg. ;
- trasmissione: cambio Cooper Citroen Ersa 4 velocità;












