Nel motociclismo di uomini che hanno scritto delle belle pagine di storia ce ne sono pochi. John Britten è uno di questi. Un grande personaggio, un genio, un sognatore, divenuto famoso per aver realizzato il suo sogno, ovvero costruire dal nulla una motocicletta dalle doti straordinarie, una formidabile bicilindrica da competizione tecnologicamente paragonabile ad una MotoGP attuale (in anticipo di 30 anni) in grado di competere con i colossi delle due ruote nelle maggiori competizioni mondiali, e di batterli.
Questa è la storia del geniale ingegnere neozelandese che progettò e costruì, in casa propria, la mitica Britten V1000, una moto rivoluzionaria e vincente.
Geniale, ingegnoso, ma anche estroso e caparbio…quattro aggettivi per riassumere la personalità di John Kenton Britten. Egli nacque il 1 Agosto 1950 a Christchurch, in Nuova Zelanda, e sin dai primi anni di vita mostrò un interesse smisurato per i motori. John aveva solo dodici anni quando acquistò il motore che installò sul suo primo Go-Kart autocostruito. Un anno più tardi invece, insieme al suo amico Bruce Garrick, si impegnò nel restaurò di una vecchia Indian Scout che aveva trovato dentro un fosso.
Erano segnali inequivocabili che delineavano per John una grande passione per la tecnica ed in particolare per i motori.
Come tutti gli adolescenti, anche il giovane Britten aveva dei miti. Egli ammirava quei connazionali che erano, in qualche modo, riusciti a diventare celebri in tutto il mondo e che avevano portato prestigio alla sua terra. Gente come Richard Pearse (pioniere dell’aviazione), Bill Hamilton (padre della moto d’acqua), Bruce McLaren (pilota campione e fondatore della McLaren Formula One Team) e Burt Munro (record mondiale di velocità in moto a cui è stato dedicato il film Indian).
Laureatosi in ingegneria meccanica John Britten iniziò presto la sua carriera di ingegnere, ma cambiò più volte settore. Fu nel 1992, all’età di 38 anni, che decise di fondare la Britten Motorcycle Company, ovvero una azienda specializzata nella produzione di motociclette rivoluzionarie, estremamente leggere e performanti.
Già da un paio d’anni Britten stava lavorando al progetto di una moto. Aveva iniziato per passione, fra i muri del proprio garage, e fu proprio lì che lo continuò, almeno in un primo momento, a portarlo avanti. Decise poi di trasferirsi in quella che divenne la sede ufficiale dell’azienda, ovvero al n. 31 di Carlyle Street.
L’intento di John era quello di avviare una produzione “casalinga” di tutti i componenti (motore compreso). Si trattava di un’impresa epica che oltre a grandi conoscenze ingegneristiche , necessitava di ingenti capitali.
Per il governo Neozelandese, il progetto fu un grande motivo d’orgoglio, tanto che decise di dare alla Britten Motorcycle Company il proprio contributo economico.
La Britten V1000 era spinta da un propulsore era un bicilindrico a V stretta di 60° da 999,7 cc (98,9×65 mm), raffreddato a liquido e con distribuzione bialbero in testa a 4 valvole in titanio (da 40 mm in aspirazione e 33 allo scarico) per cilindro. Il rapporto di compressione era di 11,3:1, con pistoni a testa piatta spinti da bielle anch’esse in titanio. L’alimentazione era ad iniezione elettronica sequenziale con due iniettori per cilindro, abbinata ad un sistema programmabile di acquisizione dati. La lubrificazione era a carter umido, e la trasmissione si avvaleva di un cambio a 5 o 6 marce, con frizione a secco antisaltellamento. Le prestazioni del V2 australe erano già notevolissime ai primi vagiti: si parlava infatti di quasi 160 cv a 12.000 con regime massimo a 12.500, che nelle ultime evoluzioni, poco dopo la scomparsa di Britten, pare siano saliti a oltre 180, per una velocità massima vicina ai 305 km/h. Di questo motore venne realizzata anche una versione da 1100 cc per partecipare a gare Open, e vennero realizzate e provate anche testate a 5 valvole. .
La realizzazione del V1000 era così accurata che non si era reso necessario l’impiego di alcun albero d’equilibratura. Il motore era in grado di erogare una potenza massima di 155 CV (170 cv la versione 1100), ed una coppia di 13 kgm. Dati che rendavano la Britten V1000 un punto di riferimento assoluto nella sua categoria.
Come sulle Ducati Desmosedici pre-2011 e Panigale, il motore era totalmente portante, quindi non esisteva telaio, sostituito da una serie di strutture di supporto realizzate in fibra di carbonio, al pari delle alle ruote (da 3,50 e 6,00 x 17”), al forcellone e alla stessa forcella. Quest’ultima era costituita da una struttura rigida tipo Hossack, che faceva lavorare un ammortizzatore centrale Öhlins sistemato appena dietro ad essa. Poco più in basso, davanti al motore, troviamo il secondo Öhlins chiamato a governare la sospensione posteriore tramite un complesso sistema di progressione. I freni erano Brembo, da 320 mm davanti e 210 mm al posteriore. La ciclistica naturalmente era regolabile, in particolare per quanto riguarda inclinazione del cannotto di sterzo ed avancorsa, con interasse piuttosto “agile”: 1.420 mm. La poderosa Britten V1000 aveva un serbatoio da 24 litri, e pesava soltanto 138 kg.
Esteticamente e aerodinamicamente la V1000 era tanto accattivante quanto efficace, il motore in bella vista era avvolto a sinistra dai coreografici tubi di scarico colorati, mentre a destra un coperchio in carbonio proteggeva la cinghia della distribuzione. Britten cercò di ottimizzare l’aerodinamica della V1000 ottenendo degli ottimi risultati, a proposito di ciò basta osservare la parte anteriore e posteriore della moto. La prima è caratterizzata da un parafango proteso fin sotto il cupolino, la seconda invece da un codino rastremato e spiovente, il tutto per migliorare l’ingresso e l’uscita dei flussi d’aria.
La neonata V1000 al suo esordio avrebbe probabilmente battuto la Ducati 888 di Doug Polen alla 200 miglia di Daytona del 1991, se non gli si fosse rotta la batteria mentre era al comando. Sicché Britten si consolò conquistando il secondo e terzo posto, sempre a Daytona, nella gara della Battle of the Twins. L’anno seguente la V1000 vinse la Battle of the Twins di Assen e arrivò seconda alla Pro Twins di Laguna Seca.
La prima partecipazione della Britten all’Isola di Man al Tourist Trophy è del 1993, con Shaun Harris nel Senior TT. Dopo problemi elettrici nelle qualifiche, Harris ha avuto un guasto al filtro dell’olio che ha posto fine alla sua gara, ma ha registrato la velocità di punta più alta della gara con 264 Kmh. L’anno successivo, Britten mise insieme una squadra competitiva, con Nick Jefferies e Mark Farmer sulla moto del Team clienti CR&S, guidato da Roberto Crepaldi. Ma l’esperienza si concluse in tragedia quando Farmer morì a causa di una caduta sul veloce tratto di Black Dub, tra Ballacraine e Glen Helen.
Dopo che Stroud vinse la Battle of the Twins a Daytona nel 1994, registrando anche la velocità massima mai raggiunta da una moto con oltre 304 kmh, nel ’95, l’anno in cui John Britten morì di cancro, la moto ebbe probabilmente la sua stagione migliore. Dopo aver vinto la gara europea Pro Twins ad Assen, Stroud e il compagno di squadra Stephen Briggs dominarono il campionato mondiale BEARS, finendo primo e secondo nella serie e vincendo tutte le gare tranne una. La Britten si ripetè nella Battle of the Twins a Daytona di nuovo nel 1995, 1996 e 1997.
Oltre alle gare si aggiudicò vari record di accelerazione da fermo nella categoria fino a 1000 di cilindrata: 134,617 km/h in uscita dai 400 metri con partenza da fermo, 186,245 km/h all’uscita del chilometro e 213,512 km/h all’uscita del miglio (1.609 metri).
In totale, sono state costruite 10 Britten V1000.
Il 5 Settembre 1995, il sogno di John Britten si interruppe con la sua prematura scomparsa dopo una breve malattia che gli fu letale all’età di soli 45 anni.















