“articolo pubblicato su motosprint n.7 del 18 febbraio 2014″
18 maggio 1975
Partimmo che era ancora buio dalla provincia di Rovigo , due auto una Fiat 124 e una Fiat 128,otto persone sette adulti (mio padre 44 anni,quattro suoi amici più o meno coetanei,due zii sessantenni ) e un bambino (o cinno come suol dirsi in Emilia-romagna) di 12 anni,il sottoscritto,aggregato all’allegra comitiva come regalo di compleanno, destinazione Imola “Gran Premio delle Nazioni”.
Arrivo all’alba , parcheggio a due chilometri dal circuito, ma non importa si vanno a vedere le moto e Agostini, per cui la camminata è allegra e spensierata condita di aneddoti e conseguenti risate.
Arriviamo al circuito, l’immagine che si presenta ai miei occhi è incredibile ,mi sembra di vivere in un sogno, vedo la pista, moto di ogni tipo rombi che sono musica per le mie orecchie. Decidiamo che il posto migliore è la collina della Rivazza ,da lassù si scorge l’uscita dell’omonima curva, l’allungo verso il traguardo , la variante bassa e il traguardo. Iniziano le gare allora correvano cinque classi :50-125-250-350-500 , nell’aria si diffonde l’odore dell’olio ricino lo descrivo con una sola parola, inebriante.
L’ordine delle gare era tale da lasciare la classe regina la 500 per ultima , tralascio la descrizione delle classi minori (ma ricordo tutto come fosse ieri) per raccontarVi l’esperienza vissuta con la 500.
Durante la pausa tra 350 e 500 con i miei zii (i più anziani della compagnia) ci rechiamo presso uno stand di piadine per rifocillarci , camminando arriviamo nelle celebre discesa del tiro a volo (picchiata che precede la celebre doppia curva della Rivazza) non chiedetemi come ma all’improvviso l’unica rete che suddivideva il pubblico dalla pista come per incanto si apre (evidentemente qualcuno munito di tronchesi ha pensato bene di aprirsi un varco per avvicinarsi ancor più ai propri beniamini) e come per incanto io e gli zii ci troviamo a bordo pista e come tutti prendiamo posizione ai limiti del nastro d’asfalto. Ovviamente la cosa non era permessa e non poteva durare , quindi con molta calma quei pochi commissari di percorso presenti riescono a convincere quella cinquantina di fuorilegge a rientrare nei ranghi con del fil di ferro risistemano la rete tagliata. Tutti , tranne tre , indovinate chi , i miei zii , mi dicono di correre con loro a nasconderci sotto il ponte che attraversava la pista (nella discesa verso la Rivazza denominata “Tiro a volo”) e di rimanere vicino alla parete in silenzio, se non ci scoprivano una volta partiti , tutti presi a guardare la gara, nessuno si sarebbe più accorto di noi. Sembra incredibile ma così fu. La gara partì e dopo qualche giro ci sedemmo addirittura sulla balle di paglia situate sotto il ponte (la discesa piegava leggermente verso destra e i piloti seguivano la traiettoria interna radente alle balle di paglia di destra noi eravamo seduti su quelle situate dalla parte opposta , praticamente all’esterno della discesa) con le gambe a penzoloni in pista. Le immagini dei piloti rannicchiati in leggera piega a destra sono impresse nella mia mente , ricordo tutto come fosse ieri , quei cavalieri del rischio ci sfrecciavano a non più di cinque o sei metri di distanza ad oltre 250 chilometri orari. Ricordo ancora che quando passavano le MV Augusta di Read e Toracca , le uniche a 4 tempi , un rombo che sembrava tremasse l’asfalto. Le moto mi sfrecciavano davanti talmente veloci che non riuscivo a distinguere i numeri di gara , fu cosi che imparai a riconoscere i caschi , riuscivo distinguere i piloti riconoscendo i colori dei caschi e confrontandoli con le foto del programma. Vinse Agostini davanti a Read , Kanaya e Toracca.
Quei “cinni” di sessant’anni con la loro infantile incoscienza mi fecero vivere un’esperienza indimenticabile e assolutamente improponibile oggi. Ancora adesso quando vedo una gara riconosco i piloti guardando il casco (allora le grafiche erano molto semplici e accompagnavano il pilota per tutta la carriera) e non posso fare a meno di ricordare quella fantastica esperienza.

